Querelle de Brest e l’icona del marinaio nell’immaginario camp

Marinai

In the navy

Il saggio di Susan Sontag “Note on Camp” ha svolto per anni un ruolo fondamentale per quanti hanno cercato di raccontare e descrivere il camp. È stato un punto di partenza, un primo e originale tentativo di descrive qualcosa di cui si percepiva l’esistenza ma di cui ancora sfuggivano implicazioni e possibili evoluzioni. Il camp, di pari passo con la rivoluzione sessuale della seconda metà degli anni sessanta, è diventato uno strumento interpretativo della realtà, il cui consumo ha indicato per molto tempo una chiara riconoscibilità, un’identità di gruppo, fondante di molta sotto cultura, sia questa riconducibile a precise aree geografiche, di genere e con un proprio specifico “pubblico”.

Camp è una manipolazione operata con i mezzi dell’ironia e, a volte della satira, che finisce col creare un gusto condiviso.

Secondo la scrittrice e critica canadese Linda Hutcheon, la parodia non è altro che una rielaborazione intertestuale e critica di diverse convinzioni. La parodia dipende dunque da un testo esistente, rispettando con ciò il citazionismo tipico delle correnti post moderne: le parodie si oppongono al discorso culturale dominante, ribaltando un testo pre esistente, formulandone una nuova visione.
Prendiamo ad esempio il fenomeno delle Drag Queen: molte di loro, semplicemente esagerando aspetti tipici del divismo di alcune cantanti o attrici, ne propongono una imitazione (spesso in playback) parodistica, ridicola, volutamente volgare, scatenando in questo modo l’ilarità, ma è difficile che una Drag imiti qualcuno che in fondo non ami davvero o non ascolti abitualmente anche al di fuori dello spazio di una esibizione.
Sempre utilizzando il lavoro della Hutcheon, ci si può spingere a definire la parodia, non solo come forma, ma anche come processo, come metodo progressivo, fino ad interpretarla in un’ottica di relazioni e rapporti di potere; la parodia non risiede solo nel testo ma è la sua fruizione che ne determina l’efficacia. La parodia finisce dunque con l’offrire un’“alternativa”, una visione in possesso di un determinato gruppo di fruitori, i quali, in opposizione alla gerarchia dominante, individuano un valore e creano una originalità. Il camp può benissimo collocarsi in questo discorso di relazione fra poteri: con l’elemento parodistico ed ironico che lo contraddistingue, esso è il mezzo, il processo con cui un gruppo di produttori e di fruitori riescono ad entrare nelle rappresentazioni culturali riconosciute e ufficiali, proprio perché ne costituiscono un rafforzamento, avendo come principale oggetto di rappresentazione gli stessi contenuti.

Anche se scevro di ironia, se non per alcuni elementi della scenografia, esageratamente e spudoratamente fallici, per esemplificare ulteriormente quanto sopra affermato può tornarci utile il film Querelle de Brest, ultimo lavoro del regista tedesco Fassbinder, tratto dal romanzo di Jean Genet.

Brad Davis

Brad Davis
Querelle de Brest (1982)

Due personalità importanti e spesso “ingombranti” della cultura del novecento si incontrano e si confrontano, per lasciarci un’opera cinematografica unica, spesso barocca, accusata di manierismo e pornografia, ma in grado di creare e cristallizzare nel tempo un’autentica icona dell’immaginario gay.

Per una comprensione maggiore occorre partire con alcune note biografiche sia di Genet che di Fassbinder.

Jean Genet, scrittore, drammaturgo e poeta francese, nasce a Parigi nel 1910; viene subito lasciato alle cure della pubblica assistenza. Affidato ad una nuova famiglia cresce riservato e taciturno; frequenta le scuole pubbliche, ricevendo un’educazione religiosa. A dieci anni compie un furto, evento fondante della mitologia di Genet il quale, punito per il gesto commesso, lo trasforma in modo del tutto esistenzialista in un gesto quasi mistico, simulacro del suo “vizio” e della sua profonda anti socialità. Vivendo di espedienti e vagabondo per l’Europa, conosce il carcere, la vita di strada, i bassifondi dei porti e delle stazioni, finendo col riempire i propri lavori di episodi difficilmente distinguibili da fatti autobiografici e che hanno per protagonisti, appunto, ladri, ragazzi di vita, assassini ambigui e corrotti. Ammirato da Jean Cocteau e Sartre, frequenta, pur vivendo costantemente senza un domicilio, personaggi come Simone de Beauvoir, Alberto Giacometti ed Henri Matisse.
Impegnato in molte lotte politiche, con posizioni estremiste legate ad ambienti di sinistra, si appassiona alle vicende dell’OLP di Arafat, alle Pantere Nere statunitensi, schierandosi sempre, secondo lui, dalla parte degli oppressi, dei deboli e dei poveri esclusi dalle ricchezze del mondo. Dopo la morte del compagno Abdallah, la dipendenza dai barbiturici accentua ulteriormente la sua vita vagabonda. Muore di cancro, nell’ennesima stanza d’albergo, il 15 aprile del 1986. Rispettando il suo volere fu sepolto in Marocco.

Querelle de Brest

Querelle de Brest (1982)

Rainer Werner Fassbinder, regista tedesco, nasce a Bad Wörishofen nel 1945. Figlio di un medico e di una traduttrice che divorziano quando lui era ancora piccolo, Fassbinder visse con la madre, la quale si servì del cinema come di un asilo in cui lasciarlo per poter lavorare indisturbata. Cresciuto nel mito di registi come Douglas Sirk e di attrici come la Bacall, quando diventa a sua volta regista, si fa coinvolgere in ogni fase del lavoro di creazione di un film: dalla sceneggiatura alla scenografia, dalla direzione degli attori fino ai costumi, trasferendo quello che era il metodo di gestione teatrale nella creazione di un’opera cinematografica.
Commediografo, scrittore, attore, produttore e intellettuale prolifico, molti lo definirono il Pasolini tedesco: obeso, sofferente, tossicodipendente in continua lotta con le mille facce di se stesso. Pur considerando l’omosessualità una malattia inaccettabile, retaggio duro da estirpare in una società borghese come quella tedesca post bellica, arriva, comunque, a dichiararsi molto presto, sviluppando contemporaneamente una poetica personale in cui la sodomia viene vissuta come violenza e affetto, la morte come un rifugio silenzioso e il suicidio come un gesto estremo di amore verso se stessi.
Capace di creare scandali, controversie e censure (come nel caso di La paura mangia l’anima, in cui racconta di una anziana donna delle pulizie, vedova, che si risposa con un immigrato marocchino), non scende a patti con la cultura dominante, fondando per la propria libertà di espressione una casa di produzione per le sue opere, la “Tango-film”.
Fassbinder era attratto dall’universo femminile che descrisse in molte pellicole memorabili, come Attenzione alla puttana santa, Le lacrime amare di Petra Von Kant, Il matrimonio di Maria Braun, Lola e Veronica Voss, personale omaggio a Viale del Tramonto (altro caposaldo camp) di Billy Wilder.
Muore nel 1982 in seguito ad una overdose di cocaina, associata ad un uso eccessivo di sonniferi.

In questi pur brevi cenni biografici, si possono ben vedere alcuni punti in comune alle due storie, che troveranno una sintesi perfetta nella trasposizione cinematografica di Querelle.

Querelle de Brest – Trama: la nave “Le Vengeur”, comandata dal tenente di vascello Seblon (Franco Nero), attracca a Brest, città portuale francese situata nel dipartimento del Finistère nella regione della Bretagna, sulla costa occidentale. Seblon è affascinato dal marinaio Querelle (Brad Davis), il quale però non sembra accorgersi di lui, attratto a sua volta da uomini violenti e dall’omicidio. A Brest Querelle contrabbanda della droga. Per passare la dogana si fa aiutare da Vic, un amico marinaio che poi sgozza. Ne “La Feria”, il più celebre ed elegante bordello della città, Querelle incontra il fratello Robert (Hanno Pöschl), a cui è legato da un profondo e misterioso rapporto di amore/odio. Robert è l’amante di Lysianne (Jeanne Moreau), la moglie di Nono (Günther Kaufmann), il tenutario del bordello. Nono offre a Querelle una partita di oppio e questi, dopo aver finto di perdere ad una partita a dadi, si fa sodomizzare da lui e in seguito da Mario (Burkhard Driest), un ambiguo poliziotto con il quale entra in affari di ricettazione. In un bistrot Querelle rimane colpito dagli sguardi complici tra Roger (Laurent Malet) e Gil (ancora Hanno Pöschl), un giovane muratore che somiglia molto a Robert. Gil uccide un collega, Theo, che lo tormentava accusandolo di omosessualità. La polizia incolpa di tutti e due gli omicidi (anche di quello di cui è in realtà colpevole Querelle) Gil, il quale si nasconde, con l’aiuto di Roger, in un ex bagno penale. Querelle lo trova, fa l’amore con lui e prima lo esorta a rapinare Seblon in un bagno pubblico, poi lo aiuta a fuggire, consegnandolo infine alla polizia rivelando la sua partenza in treno per Bordeaux. Nel finale Querelle si ubriaca per il dolore, si concede finalmente a Seblon mentre Lysiane legge nei tarocchi che in realtà non è il fratello di Roger. “Le Vangeur” riparte.

Querelle de Brest

Querelle de Brest (1982)

Fassbinder rilegge l’opera di Genet in una chiave religiosa, mistica: un cammino rituale di espiazione verso la purificazione, magistralmente raffigurato con una via crucis dagli accesi toni onirici di tanti santini cari alla devozione popolare. In tutto il film compaiono simboli religiosi, a contendersi il primato con altri simboli assai più blasfemi e carnali (la torre fallica ad esempio). La scelta cromatica delle luci predilige il rosso e l’arancione, a dar profondità ad ambienti volutamente teatrali e artefatti, in cui si muovono attori ieratici, dalla recitazione sincopata e spesso sopra le righe.

Querelle resta un personaggio tipicamente genetiano, una sorta di angelo perverso, votato all’autodistruzione: ladro, bugiardo, contrabbandiere, attaccabrighe, ma soprattutto di una bellezza bruciante in grado di schiavizzare il desiderio altrui, a cominciare dal tenente Sablon, il quale sfoga le sue pulsioni inespresse sfogliando libri con nudi artistici, confidandosi con un registratore e cercando sesso in bagni pubblici.

Nel film ritroviamo quel senso dell’artificio, della superficie e della simmetria che la Sontag attribuisce al camp; ma anche un gusto estetico sontuoso, filtrato da luci morbide e calde. C’è persino, a mio parere, anche “la vittoria dello stile sul contenuto, dell’estetica sulla morale, dell’ironia sulla tragedia”; il testo di Genet è richiamato spesso alla lettera, con enfasi, con un effetto quasi estraniante nei confronti del contesto.
Querelle, come ben evidenziato dal critico cinematografico Vincenzo Patanè, ci appare schiavo di quell’eccitazione e di quell’aura particolare che dà l’omicidio (vuole conoscere Gil perché affascinato da un altro colpevole), è “un allegro suicida morale”.

Fassbinder riesce a rendere al meglio, in questo mondo artefatto e mitizzato, quel rapporto intricato e indissolubile che nel libro di Genet esiste tra il lirismo e la pornografia.
Altri elementi camp nel film li ritroviamo nella scelta di vestire i frequentatori del bordello di Nono, come personaggi tipici dell’immaginario feticista omosessuale: leather, muratori, operai (non dissimili, per capirci, dai Village People), ma anche travestiti improponibili, cardinali e suore, che accompagnano una superlativa Jeanne Moreau ad intonare una canzone, il cui testo è “La ballata dal carcere di Reading” di Oscar Wilde.

La divisa di Querelle, i suoi berretti, la sua canottiera bianca, le sue maglie a righe azzurre, hanno fondato, come già precedentemente affermato, il mito del marinaio come oggetto sessuale nell’immaginario camp.
Un immaginario che di quello specifico oggetto, si è nutrito spesso, fagocitando qualcosa del mondo reale per restituirci una parodia dai contorni sempre più definiti, codificati, quasi macchiettistici. Potremmo persino dire “di maniera”, ma sempre filtrati in un ottica di relazione con la cultura dominante, con il potere, al fine di creare elementi propri in cui riconoscersi e veicolare quella condivisione e identità a loro volta in grado di scatenare il sorriso e la sorpresa: sappiamo tutti come ci faccia più ridere ciò che parla di qualcosa che conosciamo bene.

Marinaio

Sailor – Camp Icon

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