Hot Queer Erotica. Variazioni saffiche 3

“Marilyn? Quella lesbica?”
Elizabeth Taylor

VARIAZIONI DI STIGMA N°3 | FANTASTICHERIA ETEROsessuale

di Barbara Fragogna

HARMONY RELOAD

Lui era pieno di fisico. Lei era la notte dei suoi pensieri. I due trasudavano testosterone ed isteria alla luna piena, gravidi di intenzione si inseguivano gli sguardi appassionati da un lato all’altro del tavolo di una cena ancora non consumata in quel ristorante scintillante del centro. Era la prima volta, il primo appuntamento, il primo incontro dopo la chat. Lui, i suoi capelli corvini, grossi e lucidi, il maschio latino, il toro da monta che lei aveva sempre sognato. Lei, ridondante di petto tanto da imbarazzare i bottoncini che della camicia trattenevano a stento i lembi, labbra umettate alla promessa di altre labbra ancora più fluide. Gasolina che lui avrebbe presto avvampato a inferno. Divorarono la cena senza cerimonie, il desiderio di altri luoghi e di altri momenti non permetteva loro di indossare la maschera del bon ton. Pagò lui, ovviamente. La lamborghini aspettava scalpitante dei suoi cavalli purosangue. Schizzarono via ancor prima di accendere i fari. Lui la guidò lungo i chilometri della sua spiaggia privata. L’acqua scintillava e il suo brillio erano le stelle, erano i diamanti. Frenò non appena raggiunse la villa dalle ampie vetrate, il paradiso. Scesero lentamente per gustare ancora quei pochi momenti di trepidazione, attesa e ardite speranze. Lui ruttò caviale e scorreggiò tartufo. Lei si tolse un rimasuglio di prezzemolo dai denti con l’unghia ricostruita del mignolo sinistro. Si erano conosciuti in chat, dopotutto. Le si avvicinò deciso, la ghermì, la spinse dentro con dolcezza e decisione. A quel punto i bottoncini non ressero più ed uno tsunami di carne lo sommerse ma lui, l’uomo che non chiede mai se non il conto, non annegò. Di nuovo la prese e ancora la prese e anche lei lo prese e ancora lo prese. Si presero a più riprese e poi si persero. Ma si ripresero e ricominciarono. Nella bocca di lui c’era il sapore amaro e alcolico del profumo dozzinale di campioncini omaggio mescolati alla buona che lo disgustava ma a cui non poteva permettersi di accennare, doveva farsi valere, mostrarsi superiore, dare il meglio e ostentare piena soddisfazione. “Per Dio, se sono un uomo!”, pensava, mentre sperava che tutto finisse al più presto. Le mani di lei si aggrappavano con foga alla folta peluria che gli copriva la schiena come una coperta invernale e si diceva: “Tieni duro!”, per non cadere nella noia causata dai colpi di lui che risultavano alquanto monotoni e martellanti. Non che le dispiacesse l’idea materica di un trapano che la scavasse le profondità più intime, ma il ritmo che le dava le aveva messo in testa una marcetta militare che ricordava il circo e le comiche. “Così non si va da nessuna parte – pensava – adesso gli regalo il migliore dei miei orgasmi simulati e simultanei e poi mi faccio portare a casa.” Il ritmo cresceva, lui pensando a Moana, lei pensando a Moana. Arrivarono al dunque. Finalmente. Rimasero stesi per dieci minuti ad asciugare il sudore, in silenzio. Si sorrisero a sottolineare il fatto che sì, era andato tutto bene. Adesso lui l’avrebbe potuta riportare a casa. Per fortuna. Si promisero che si sarebbero sentiti. Grazie. Grazie. È stata una bella serata. Ciao. Non si sarebbero più rivisti. Per carità. Dopotutto si erano incontrati in chat.

Barbara Fragogna, Stigma-3, 2013

Barbara Fragogna, Stigma-3, 2013

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